Giorno della Memoria
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27 Gennaio: Giorno della Memoria |
“Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi”.[1]
Le parole di Primo Levi ci afferrano per le spalle e ci scuotono, ci gridano di pensare, di tramandare, di ricordare; ci inducono a riflettere. Gridano a me, a te, a noi fortunati che abbiamo un nome, un’identità, indumenti per ripararci dal freddo e cibo sufficiente a farci definire ‘sazi’ ogni giorno; a noi che abbiamo acqua potabile che esce dai rubinetti delle nostre case; a noi che dormiamo comodi su letti veri, a noi che non rischiamo di essere massacrati per il solo fatto di stare al mondo, a noi che possiamo guardarci negli occhi e fare domande.
Oggi è il 27 gennaio 2025.
Sono trascorsi 80 anni dal giorno della liberazione di Auschwitz, ma più passa il tempo meno dobbiamo (o possiamo) abbassare la guardia perché il pregiudizio, la discriminazione e l’odio non si assopiscono mai e spesso si trascinano dietro violenza, morte e distruzione. Il pregiudizio, in particolare, è assai pericoloso in quanto spinge a credere senza verificare e trova forza e vigore nell’ignoranza e nella pigrizia intellettiva.
Per non parlare dei danni che può fare l’indifferenza…
Esiste una spaccatura “che si va allargando di anno in anno fra le cose com’erano «laggiù» e le cose quali vengono rappresentate dalla immaginazione corrente, […]. Essa, fatalmente, slitta verso la semplificazione e lo stereotipo”. Così dice Primo Levi ne I sommersi e i salvati e mi rendo conto di quanto sia importante mantenere vivo il ricordo di ciò che è stato, il ricordo autentico, per poterlo tramandare senza distorsioni o manipolazioni alle generazioni di giovani e giovanissimi.
Ricordare ciò che è stato perché mai più si ripeta.
Ricordare cosa, esattamente?
Ricordare la furia dell’uomo contro l’uomo, ricordare che esseri umani – o forse disumani - hanno annientato altri esseri umani, togliendo loro la dignità prima ancora che la vita. Coloro che sono sopravvissuti ai campi di sterminio della Seconda Guerra Mondiale e hanno avuto la forza e il coraggio di raccontare quella furia devastante e insensata, ci hanno donato conoscenza e saggezza risparmiandoci il dolore e la sofferenza della loro conquista. Hanno fatto, loro malgrado, esperienza del Male e con le loro testimonianze ci hanno aperto gli occhi. Dovremmo aver assorbito così tanto dolore dalle loro ferite che ora il nostro livello di attenzione e sensibilità al Male dovrebbe essere altissimo, invece diamo l’impressione di non aver imparato nulla. Guardiamo ancora con diffidenza il vicino, lo invidiamo per ciò che ha e lo disprezziamo per ciò che non ha. Abbiamo ancora e sempre fame di successo e brama di potere; l’arsura dell’odio ci consuma e appena possiamo cerchiamo di arraffare anche e soprattutto ciò che non ci appartiene.
Dalle esperienze dei sopravvissuti ai campi di concentramento avremmo dovuto apprendere l’empatia e la compassione, il rispetto e la gentilezza, la generosità e la condivisione, invece stiamo continuando a praticare l’indifferenza e la derisione, la violenza in tutte le sue forme – fisica, verbale e psicologica – e l’egoismo.
Lo so, Primo Levi metteva in guardia i suoi lettori dal giudicare le cose del tempo passato – specialmente quando è un passato molto lontano - con gli occhi del presente, ma il mio intento qui non consiste nel dare giudizi o fare previsioni: io vorrei che il presente e il futuro avessero il loro fulcro in valori come il rispetto per la vita di tutte le creature viventi e la solidarietà.
“Lo ripeto agli studenti: è stato l’odio a fare questo, l’odio allo stato puro. I nazisti hanno sterminato sei milioni di ebrei. Ricordate ciò che vi è parso impensabile”.[2]
Sei milioni. Sei milioni di persone, senza distinzioni tra maschi, femmine, giovani, vecchi, bambini, malati o sani. Sei milioni di creature trucidate per puro odio, ma ancora oggi ci ostiniamo a farci la guerra gli uni con gli altri.
Sia il Giorno della Memoria (in Italia) sia l’International Holocaust Remembrance Day (nelle Nazioni Unite) sono stati istituiti per legge solo recentemente: nel 2000 il primo e nel 2005 il secondo. Farlo si è reso necessario per contrastare due fenomeni assai inquietanti:
“Primo: il legame, ricorrente, tra l’antisemitismo e l’aspro scontro politico, ancora oggi irrisolto, generato in Medio Oriente dalla nascita dello Stato d’Israele. Secondo: il sorgere dagli anni Settanta in poi di una corrente storiografica che nega l’esistenza dello sterminio” degli ebrei “o almeno il fatto che abbia avuto i caratteri” che ha avuto.[3]
Si è reso necessario, eppure la violenza continua. Nonostante esistano già leggi naturali (e divine, per chi ha Fede) si è resa necessaria l’introduzione di leggi nazionali per tutelare il ricordo di un genocidio, tanto fragile è la nostra memoria. E ogni giorno che passa ci allontana di un altro giorno dalla vergogna di quegli eventi e ci spinge pericolosamente sempre più vicino al ripetersi del Male. La vita nella paura non è vita: vorrei potermi fidare del futuro, ma il passato è troppo spaventoso e il presente vacilla sotto il peso dei fatti che quotidianamente scuotono il delicato equilibrio in cui ci troviamo. “Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla” diceva Edmund Burke, e chi la conosce è condannato a temerla, aggiungerei io. Mi rendo conto che le mie parole trasudano pessimismo, ma non posso fare a meno di vedere oscurità davanti a me. Spero di sbagliarmi. Spero che sia solo saltata la corrente e che presto torni la luce. Nel frattempo, qualcosa si può fare: ricordare, tramandare, e impegnarsi per non ricadere negli stessi errori. Ognuno, nel proprio piccolo, può fare la differenza. Possiamo restituire dignità a quei sei milioni di persone comportandoci, d’ora in poi, come veri esseri umani.
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